Ermes Antonucci sul quotidiano Il Foglio ha raccontato lo scorso 13 febbraio la gogna mediatica subita da Ludovico Gay.
Gay è uno degli undici funzionari pubblici del ministero dell’Agricoltura finiti agli arresti l’11 dicembre del 2012 con l’accusa di aver costituito una “cricca” per la spartizione delle risorse pubbliche destinate a finanziare iniziative di formazione e comunicazione dell’agroalimentare. Secondo la ricostruzione dei magistrati, i soldi destinati a mobilitare le energie imprenditoriali – 32 milioni di euro di contributi statali tra il 2007 e il 2011 – erano veicolati dai funzionari alle aziende “amiche” in cambio di favori che, di volta in volta, potevano essere il soggiorno in un hotel di lusso, la concessione edilizia, il viaggio a Miami, l’assunzione dell’amante.
Per annunciare i numeri del terremoto giudiziario (37 persone indagate, 11 in arresto, 22 milioni di euro di beni sequestrati), i procuratori romani Nello Rossi e Rocco Fava organizzarono, come spesso accade, nientedimeno che una conferenza stampa, rafforzando la portata cinematografica della loro azione denominando l’indagine “Operazione Centurione”.
Dopo tre anni e mezzo di processo e mesi di custodie cautelari per gli imputati, il 14 aprile 2016 gli ex funzionari del ministero sono stati tutti assolti perché “il fatto non sussiste” (i pm avevano chiesto condanne da 3 a 9 anni). Eppure di inchiostro, e di fango, sulla vicenda e sui poveri malcapitati ne è stato versato a litri. Marco Lillo sul Fatto Quotidiano titolava “Ecco il ministero della corruzione”, Grazia Longo sulla Stampa parlava di “banda di corruttori” che “trucca gare d’appalto in cambio di soldi, regali (compreso una vagonata di mozzarelle), viaggi e posti di lavoro per i figli”, per il Sole 24 Ore non c’erano “dubbi” sull’esistenza della rete corruttiva, e intanto il gruppo di funzionari passava per sempre alla storia come “la cricca al ministero dell’Agricoltura”.
Ludovico Gay, a quel tempo direttore generale di Buonitalia, una partecipata del ministero, è stato tra i “delinquenti” sbattuti in prima pagina (e in galera). Ha trascorso 120 giorni in carcere in semi-isolamento, chiuso in una cella di pochi metri quadrati, con meno di un’ora d’aria al giorno.
Poi l’assoluzione per Gay e tutti gli altri imputati, seppur nel silenzio generale, in primis della magistratura: “Ma è possibile che non ci sia un protocollo che preveda l’obbligo per i magistrati di convocare una conferenza stampa anche in caso di assoluzione? Possibile che i magistrati non siano tenuti a richiamare tutti i giornalisti e dire loro: ‘scusate, ci siamo sbagliati’?”, si è interrogato Gay sul Foglio. E infatti gli operatori dell’informazione, vuoi per la mancata conoscenza dell’epilogo della vicenda, vuoi per l’imbarazzo di dover rinnegare la linea inquisitoria adottata in principio, hanno completamente trascurato la notizia dell’assoluzione. Repubblica è stato l’unico giornale a riportarla, con trafiletto di dieci righe celato a pagina 22. “Sono stato io a dover sollecitare la pubblicazione della notizia – ha rivelato Gay. “Ho chiamato la redazione di Repubblica e ho detto: ‘Dopo avermi sbattuto in prima pagina, ora non dovreste dare la notizia con la stessa evidenza?’”.
E’ questo il meccanismo tipico della gogna, che ti agguanta, ti distrugge e ti lascia esamine in un angolo, macchiandoti a vita. “Mi hanno devastato – ha raccontato Gay – Per mesi non sono stato in grado di uscire di casa per la vergogna e per quattro anni non sono riuscito a trovare lavoro. Vai ai colloqui, ti dicono ‘ah, ma non si preoccupi della vicenda giudiziaria, si figuri’, ma poi non ti richiamano. Ora mi arrabatto con dei lavoretti nel campo della comunicazione”.