Cadono le accuse a Carmine Belli, accusato da 18 anni dell’omicidio di Serena Mollicone. Il carrozziere, arrestato ingiustamente due anni dopo il ritrovamento del corpo della giovane di Arce (Frosinone) e liberato solo dopo un anno e mezzo dietro le sbarre, chiede giustizia e la propria riabilitazione durante la trasmissione del programma televisivo “La vita in diretta”.
Il caso è tornato alla ribalta a seguito della decisione presa dal procuratore di Cassino, Luciano D’Emmanuele, di richiedere 5 rinvii a giudizio, di cui 3 membri dell’Arma dei Carabinieri, ovvero il luogotenente Vincenzo Quatrale, l’appuntato Francesco Suprano, l’ex comandante Franco Mottola e i suoi famigliari, il figlio Marco e la moglie Anna.
Ai microfoni di Alberto Matano, l’ex accusato mostra tutto il suo sconforto verso la giustizia. «In questi casi ti aggrappi alla giustizia: dopo 18-19 anni, penso che siamo agli sgoccioli anche se non ho più fiducia in nessuno», sostiene, affermando come la “la macchia” dell’accusa di omicidio «me la porterò sempre sulle spalle: ancora oggi le persone mi osservano. Sento ancora il peso di quell’ombra». Tutto ciò nonostante assistito dall’avvocato Romano Misserville fosse stato assolto in tutti i gradi di giudizio, prima nel 2004, in Appello nel 2005 e in Cassazione a dicembre del 2006 per “la scarsa consistenza degli elementi indiziari”.
Immagini dolorose che ancora lasciano il segno, che riportano alla mente i ricordi di tutto ciò che «una persona ha vissuto sulla sua pelle», e che la gente può solo immaginare ma non comprendere, sostiene Belli.
«Voglio sapere – si domanda il carrozziere – perché queste persone devono essere in attesa di processo a piede libero: ci sono prove schiaccianti e devono fare il processo a piede libero, a differenza di quanto ho dovuto affrontare io. Spero che venga a galla tutta la verità».
Secondo l’accusa dei giudici nel 2001 Belli aveva fornito un passaggio alla ragazza nel tragitto tra Isola Liri e Arce, per poi colpirla al volto e costruire una messinscena presso il bosco di Anitrella infilandole una busta di plastica in testa e legando mani e piedi con nastro adesivo e filo di ferro. Tuttavia, all’ora della morte della ragazza il carrozziere si trovava nella sua officina a lavorare ed, inoltre, non sono state trovate impronte di Serena né sangue nell’auto, così come non risultavano impronte di Belli sul corpo di Serena o di sangue sui suoi vestiti.
Per quanto riguarda i rinviati a giudizio, Quatrale, Mottola e i suoi famigliari sono a processo per concorso nell’omicidio della giovane, il primo inoltre per istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi e Suprano per il reato di favoreggiamento. Secondo l’accusa infatti nel 2008 Tuzi riferì ai colleghi di aver visto entrare Serena in caserma, di aver ricevuto una chiamata sull’interfono per farla accedere agli appartamenti del comandante e di non averla mai più vista uscirne, annotandone il nome sul registro da dove però fu successivamente cancellato, mentre poco prima del processo il brigadiere si è suicidato. Tuttavia la difesa contesta sia la presenza del corpo della giovane in caserma, sia il fatto che Marco Mottola conoscesse la giovane e che fosse in procinto di essere denunciato da lei per spaccio di droga.
Sono attesi aggiornamenti sul caso, con la famiglia della vittima e la comunità del comune ciociaro che chiede giustizia.