Quella di Clelio Darida è una storia che non andrebbe mai dimenticata. Tuttora è l’unico ministro della Giustizia ad essere stato messo in cella. Darida era infatti un pezzo grosso della Democrazia Cristiana, appartenente alla corrente di Amintore Fanfani. Nella sua carriera politica è stato tre volte ministro e sindaco di Roma dal 1969 al 1976. Nel 1993 arriverà sulla sua vita la scure della giustizia errata: 4 mesi di custodia cautelare nonostante la sua innocenza.
È il 7 giugno del 1993 e sull’Italia infuria lo scandalo di Tangentopoli. Darida non ne è esente, e viene accusato dal pool di Mani Pulite di aver ricevuto una tangente di oltre 1 miliardo e mezzo di lire per favorire il corruttore negli appalti per i lavori della metropolitana capitolina. Sarà trasferito al San Vittore di Milano, segnando la storia appunto: unico Guardasigilli a conoscere l’umiliazione della galera. Uscì da San Vittore 50 giorni dopo, ma solo per essere trasferito agli arresti domiciliari, cui rimarrà costretto fino al 9 settembre del ’93.
L’assoluzione per Darida arriverà solo alla fine di luglio 1994, a firma del gip di Roma Adele Rando. La competenza era infatti passata alla magistratura capitolina e qui il pm, Francesco Misiani, decise di non impugnare l’ordinanza di assoluzione.
Darida definì l’umiliazione subita come una «violenza grave e infamante, come uno stupro: indimenticabile e irreparabile». Infatti dopo la prima notte passata in cella di sicurezza, l’ex ministro fu trasferito in una cella con due detenuti politici che lo minacciarono di morte in quanto era stato proprio lui da Guardasigilli a varare il cancellamento dei diritti della riforma penitenziaria. Il suo avvocato racconterà come mai nessun magistrato visitò Darida in galera, né furono compiuti gli atti istruttori. Si dovrà attendere l’arrivo del pm Misiani, che l’avvocato di Darida ricorda come «corretto e gentile».
L’ex sindaco di Roma fu poi risarcito per ingiusta detenzione per mano della IV sezione penale della Corte d’Appello di Roma, nell’aprile del ’97, con 100 milioni di lire. Gli stessi giudici ebbero modo di riconoscere come l’ingiusta detenzione provocò a Darida «un danno morale e materiale», oltre a «gravi prostrazioni psicologiche». L’11 maggio del 2017, a 90 anni compiuti, Clelio Darida morì nel maggio del 2017.
In una delle interviste rilasciate da Darida, l’ex politico della Dc stigmatizzò «il famoso e famigerato “potere di sostituzione” teorizzato da Magistratura Democratica». Del suo arresto, che gli ha procurato l’infausto primato, ha detto che fu «doppiamente infamante, compiuto senza la minima traccia di un mio coinvolgimento e quindi senza la benché minima accortezza». Darida denunciò anche il trattamento ricevuto dai magistrati, nello specifico dal pool formato da D’Ambrosio, Di Pietro e Davigo, che non lo sentirono né interrogarono, lasciando che l’opinione pubblica diventasse certa della sua colpevolezza senza che lui potesse difendersi.