Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio Matteo, è indagato dalla procura di Roma per il reato di traffico di influenze nell’inchiesta sugli appalti Consip: secondo la procura, avrebbe usato la sua influenza affinché fossero concessi degli appalti all’imprenditore Alfredo Romeo. Ma il modo in cui sono state condotte le indagini è problematico.
Da una chat whatsapp tra gli uomini della squadra investigativa, emerge come uno di loro, il capitano Giampaolo Scafarto, abbia cercato di forzare il significato di alcune intercettazioni perché “doveva arrestare Tiziano Renzi”.
Scafarto infatti chiese di verificare un’intercettazione del 6 dicembre 2016, in cui viene pronunciata la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato”: secondo il capitano la frase sarebbe stata pronunciata da Romeo e quindi inchioderebbe Renzi. Ma due collaboratori di Scafarto non ne sono convinti e, a seguito di un’ulteriore verifica, determinano che a pronunciare la frase non è l’imprenditore, ma Italo Bocchino, che in quel periodo era consulente di Romeo.
Sarà lo stesso Bocchino a specificare: «Non ho mai incontrato Tiziano Renzi. La frase “l’ultima volta che ho visto Renzi”, che sarebbe stata pronunciata da me e attribuita a Romeo, si riferiva presumibilmente all’ex premier che ho incontrato solo durante il mio mandato parlamentare, in dibattiti televisivi e una volta il 23 dicembre 2011, al concerto di Abbado per l’inaugurazione del nuovo maggio musicale fiorentino».
Nonostante ciò, Scafarto presenta ai pm di Roma un’analisi che non lascia alcun dubbio sulle responsabilità di Tiziano Renzi.
Ma è la Procura di Roma a stabilire che l’analisi è un falso costruito a tavolino: per questo motivo il capitano Scafarto viene indagato e crolla così una delle prove principali su cui si regge l’accusa a Renzi e l’intero caso Consip.
Non solo. Alcuni quotidiani pubblicano delle intercettazioni non rilevanti di una telefonata tra Tiziano Renzi e suo figlio Matteo. In merito, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha affermato: «Non doveva stare sul giornale perché non ha alcuna rilevanza penale. Quindi non doveva stare neppure tra gli atti processuali. E mi sono ancor più sorpreso che, non essendoci, fosse stata diffusa. Per questo è necessario fare la massima chiarezza».
In un’audizione al Csm, la procuratrice Lucia Musti ha raccontato come Scafarto e il capitano Sergio De Caprio non fossero professionali: “veramente matti”, “spregiudicati”, “presi da un delirio di onnipotenza”, le loro intercettazioni erano “fatte coi piedi”. Secondo Musti, l’indagine aveva l’obiettivo di arrivare a Matteo Renzi.
Nella sua difesa dall’accusa di falso, il capitano Scafarto afferma che «la necessità di compilare un capitolo specifico, inerente al coinvolgimento di personaggi legati ai servizi segreti, fu a me rappresentata come utile direttamente dal dottor Woodcock». Per questo motivo viene indagato per falso anche il magistrato che segue l’inchiesta, Henry John Woodcock, pm di Napoli.
Inoltre, in seguito a un’intervista rilasciata da Woodcock sull’indagine, è stata aperto un procedimento disciplinare nei confronti del pm di Napoli: sotto accusa il suo modo di condurre l’inchiesta, dall’eccessiva esposizione mediatica alle infrazioni commesse (tra quelle più gravi, il fatto che l’ex consigliere economico della presidenza del Consiglio Filippo Vannoni sia stato ascoltato come testimone invece che come indagato, precludendogli la possibilità di farsi assistere da un avvocato).