Ennesimo colpo all’inchiesta Consip, che, come noto, vede coinvolto anche il padre dell’ex premier Matteo Renzi. Il castello accusatorio sembra crollare ogni giorno di più. L’ultima incredibile notizia, riportata dal Corriere della Sera, è che gli ufficiali dei carabinieri Gianpaolo Scafarto e Alessandro Sessa, inquisiti nell’ambito dell’inchiesta per i reati di falso e violazione di segreto (il primo) e frode in processo penale e depistaggio (entrambi), sono stati sospesi per un anno dal «pubblico ufficio» esercitato nell’Arma.
La misura interdittiva, chiesta dalla Procura di Roma e concessa dal giudice dell’indagine preliminare Gaspare Sturzo, è motivata con la «gravità dei fatti contestati, il pericolo di recidiva e la reiterazione delle condotte, tutte connesse all’esercizio dei loro pubblici uffici». Alcune delle quali, sottolinea il giudice, successive al momento in cui i pubblici ministeri romani avevano già tolto le indagini sugli appalti Consip all’ufficio di cui Scafarto e Sessa facevano parte.
L’indagine è stata aperta in seguito alla verifica di alcuni falsi commessi da Scafarto nella famosa informativa indirizzata alle Procure di Napoli e Roma in cui veniva chiamato in causa – tra gli altri – Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio Matteo, e si ipotizzavano indebite interferenze nelle indagini da parte dei Servizi segreti.
Scafarto, all’epoca capitano in forza al Nucleo operativo ecologico dell’Arma, fu poi trasferito ad altro incarico ma successivamente promosso maggiore, in virtù degli automatismi di carriera interni all’Arma. Il colonnello Sessa era il suo superiore diretto, in quanto vice-comandante del Noe, ma anche lui non ricopre più quella funzione.
Tra le contestazioni più recenti ai due ufficiali mosse dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e del sostituto Mario Palazzi, che hanno portato alla sospensione dei due ufficiali, c’è la «ripulitura» dello smartphone di Sessa per cancellare i messaggi whatsapp ad opera di Scafarto «su richiesta e istigazione di Sessa». Reato commesso, secondo l’accusa, «al fine di sviare l’indagine relativa all’accertamento degli autori della violazione del segreto», dopo che sul telefonino di Scafarto gli inquirenti avevano già trovato elementi utili all’inchiesta.