Ercole Incalza è sicuramente una delle figure che più incarna il guaio italiano di una giustizia amministrata nei media e nella pubblica piazza, che influenza pesantemente quella che si svolge nelle aule di tribunale. Quest’ultima, tuttavia, arriva sempre a scontrarsi con la realtà delle cose, anche quando questa non coincide con quanto fallacemente ricostruito nelle procure.
Ex super-dirigente del ministero delle Infrastrutture e Trasporti (prima era dei Lavori Pubblici), Incalza ha subito negli ultimi anni 15 processi, tutti riguardanti cantieri di grandi opere e alte velocità. Alla fine, però, tutti e 15 si sono conclusi con la sua assoluzione o il suo proscioglimento. Nonostante il fango gettato sull’ex dirigente, nessuna procura è riuscita mai a provare la sua colpevolezza, finora solo presunta.
L’ultimo dei proscioglimenti collezionati da Incalza risale al marzo 2016, quando il gup di Firenze Alessandro Moneti ha archiviato le accuse contenute in un’inchiesta relativa alla Tav del capoluogo toscano. Sebbene per l’opinione pubblica tale distinzione non sia mai stata chiara, questa indagine, avviata nel 2013, è precedente e diversa rispetto a quella che ha portato al tristemente famoso arresto di Incalza nel 2015, sempre nell’ambito di un’inchiesta della procura di Firenze.
L’ex dirigente ha passato 19 giorni in carcere e tre ai domiciliari, poi revocati, con l’accusa di corruzione, induzione indebita e varie violazioni nei confronti della pubblica amministrazione. Per quell’inchiesta anche l’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, pur formalmente non implicato, è stato costretto a dimettersi. Anche questo filone, tuttavia, si è concluso con l’archiviazione della posizione di Ercole Incalza, ribadita anche dalla Cassazione, investita della questione dai magistrati che avevano impugnato la decisione di archiviazione.
Quello che certa stampa giustizialista, come il Fatto Quotidiano, ha definito impunemente “il ras del ministero di Porta Pia”, è dunque ancora un uomo libero e innocente.
Nel marzo 2016, tuttavia, intervistato dal Foglio alla luce dell’ennesimo proscioglimento, Incalza ha pronunciato parole amare per descrivere la sua storia: «Se penso alla sofferenza patita in tutti questi anni, quindici inchieste e quindici assoluzioni, e la confronto con la gioia di queste ore, il bilancio è inevitabilmente negativo».
In quella stessa intervista, l’ex dirigente ha avuto anche l’occasione di parlare della sua carriera: «I giornali mi hanno trattato come il peggior criminale. Ma io so quello che ho fatto. Quest’anno ricorrono i trent’anni del Piano generale dei trasporti. L’ho realizzato io. Ho seguito la realizzazione di infrastrutture per un valore di 74 miliardi di euro. Mi dicano gli altri quello che hanno fatto per questo Paese!». «La verità è che io sono una persona scomoda per i professionisti del no, per quelli che costruiscono il consenso sull’opposizione alla modernità. La Roma-Milano in tre ore ha cambiato la vita degli italiani più di cento meet-up» è stata l’amara conclusione di Ercole Incalza, un uomo che ha deciso di difendersi «nel» processo, pur essendo stato sommerso di processi da cui difendersi.