Rinunciare alla prescrizione pur di veder riconosciuta la propria innocenza e ritrovarsi invischiato in un processo infinito, paradossale e kafkiano. E’ tutto da rifare, di nuovo, il processo sul caso Kroll che vede coinvolto l’ex presidente di Telecom e attuale vicepresidente e amministratore delegato di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, accusato di ricettazione. Non sono bastati alla giustizia italiana tredici anni di processi e cinque sentenze, di cui due assoluzioni, per mettere la parola fine al caso. La Corte di Cassazione, infatti, giovedì scorso ha annullato con rinvio per la seconda volta la sentenza di assoluzione adottata dalla Corte d’appello milanese il 9 febbraio dello scorso anno nei confronti di Tronchetti Provera, disponendo un terzo processo d’appello e facendo proseguire così il calvario mediatico-giudiziario dell’ex presidente di Telecom.
La vicenda – raccontata oggi dal Foglio – risale al 2004 e si colloca all’interno della contesa per il controllo di Telecom Brasil. L’allora presidente di Telecom Italia giunse allo scontro con l’allora gestore del fondo Opportuniy (azionista di controllo di Telecom Brasil), Daniel Dantas, e l’ex presidente di Telecom Brasil Carla Cico. I due rivali carioca incaricarono l’agenzia investigativa Kroll di portare avanti un’attività di spionaggio, che non risparmiasse fatti privati e familiari, nei confronti di Telecom Italia e soprattutto dell’allora presidente Tronchetti Provera. Il team di spioni venne a sua volte intercettato dalla squadra di sicurezza interna dell’azienda, guidata da Giuliano Tavaroli.
In una riunione nel suo ufficio, Tronchetti Provera venne informato dell’esistenza dell’attività di spionaggio messa in piedi da Kroll su mandato di Telecom Brasil e diede disposizione di esaminare il materiale e andare a fare denuncia in procura. Il cd contenente le prove dello spionaggio di Kroll venne consegnato da un uomo di Tavaroli alle autorità brasiliane, che poi indagarono e procedettero a vari arresti (l’ex ad di Telecom Brasil, Carla Cico, nel 2016 sarà anche multata dalla Consob brasiliana).
Tutto bene quel che finisce bene, e invece no: la procura di Milano apre un procedimento su Tronchetti Provera per ricettazione, accusandolo di aver autorizzato l’uso di file ottenuti illegalmente attraverso un’attività di hackeraggio e il tribunale milanese, il 17 luglio 2013, condanna l’ormai ex presidente di Telecom – abbattuto anche dalle accuse di spionaggio – a un anno e otto mesi di reclusione a risarcire 900 mila euro a Telecom e altri 400 mila a Carla Cico, cioè a uno dei mandanti dello spionaggio.
Ma il manager della Pirelli non si dà per vinto. Annuncia di voler rinunciare alla prescrizione, considerandola “moralmente inaccettabile per un reato che non ho commesso”. E ha ragione: l’11 giugno 2015 la Corte d’appello di Milano lo assolve, dal momento che sull’utilizzo dei dati informatici che provavano lo spionaggio di Kroll “manifestò un intento esclusivamente difensivo”.
La procura fa ricorso, e il bello e che lo fa anche lo stesso Tronchetti Provera, non soddisfatto che la Corte lo abbia assolto “perché il fatto non costituisce reato”, preferendo un’assoluzione piena per l’insussistenza del fatto.
Ma il 18 febbraio 2016 la Cassazione annulla l’assoluzione. Si tiene un nuovo processo d’appello e il 9 febbraio 2017 Tronchetti Provera viene nuovamente assolto.
Tutto sembra presagire, finalmente, a una conclusione della vicenda giudiziaria. E invece no. La Cassazione dispone un nuovo processo. Dopo tredici anni avremo un appello-ter, nuove udienze, altre spese (pubbliche, cioè nostre, e private), altro fango per l’imputato. Può ancora chiamarsi giustizia questa?