«Nessuna pietà per gli orchi» (La Stampa, 29 aprile 2007)
«Quei pedofili ogni domenica a messa» (Il Tempo, 26 aprile 2007)
«Il lungo silenzio nel paese dei “mostri”» (Il Manifesto, 26 aprile 2007)
«Spariscano per sempre» (Il Corriere della Sera, 25 aprile 2007)
Questo il tenore degli articoli che furono scritti sulla vicenda della scuola materna “Olga Rovere” di Rignano Flaminio. Nell’estate del 2006, i genitori di alcuni bambini iscritti all’asilo del comune in provincia di Roma, denunciarono delle maestre per aver abusato sessualmente dei loro figli.
A quelle denunce se ne aggiunsero altre, che arrivarono a riguardare 21 bambini: il 24 aprile 2007, il gip ordinò l’arresto di tre maestre della scuola materna (Patrizia Del Meglio, Marisa Pucci e Silvana Magalotti), il marito di una di loro, Gianfranco Scancarello, la bidella Cristina Lunerti, e il benzinaio Kelum de Silva. Il pm chiese 12 anni di reclusione.
Due anni di un processo seguito con approssimazione (la consulente scelta dall’accusa per raccogliere e valutare le testimonianze dei bambini era alla sua prima esperienza in un caso di questa portata) non portarono nessuna prova: «L’accusa nei confronti degli indagati – scrissero i giudici del Riesame – non trova riscontri esterni alle dichiarazioni dei bambini».
Dichiarazioni che, secondo i giudizi della Corte d’appello di Roma, che hanno confermato l’assoluzione di primo grado per tutti gli imputati, furono influenzate dai genitori degli stessi bambini. Per i giudici, infatti, risulterebbero evidenti delle contaminazioni provocate dai «contatti avvenuti tra genitori, preliminari alla presentazione delle denunce» dimostrabili «dalla distanza esistente tra il contenuto delle denunce e le audizioni protette dei minori che testimoniano, oltre ogni ragionevole dubbio, che i minori furono influenzati dai genitori e che gli stessi intrecciarono le loro esperienze sino a determinare un inestricabile reticolo». Inoltre, «le dichiarazioni dei minori spesso sono inconciliabili tra loro; talvolta sono prive d’intrinseca credibilità e coerenza, facendo riferimento a fatti inverosimili, che suscitano dubbi in ordine alla capacità dei piccoli di discernere tra fantasia e realtà».
Gli imputati alla fine sono stati tutti assolti sia in primo grado che in appello perché il fatto non sussiste.