Dopo la richiesta di archiviazione da parte della procura per il caso sulle “pressioni sessuali”, parla al Foglio il sindaco di Mantova Mattia Palazzi, travolto da uno scandalo poi rivelatosi solo il frutto di una manipolazione da parte della presunta “vittima”.
Ex post, dice Palazzi al Foglio, “vedi tutte le distorsioni, e sono distorsioni gravi: il fatto che si possano pubblicare atti coperti da segreto d’indagine – e non basta trincerarsi dietro alla frase ‘il diritto di cronaca è sacrosanto’. O il fatto che la mannaia mediatica cali sulla testa dell’indagato, per mezzo di titoli cubitali su cose false, non soltanto prima che questi possa dimostrare di essere innocente, ma addirittura prima che giunga all’interrogatorio. E allora dopo questa vicenda io mi domando: che cosa stiamo facendo per evitare alla radice che un metodo malato diventi inesorabile prassi in un sistema dove sembra non esserci più neanche il rispetto della persona, per giunta a monte della fase processuale?”.
“Io ho vissuto come una violenza la supposizione senza approfondimento sul mio conto”, dice Palazzi, “e la cosa mi ha fatto pensare più in generale al fatto che queste condanne collettive sommarie contengono in sé un germe di frustrazione e insoddisfazione che porta a rincarare la dose nel dare addosso al personaggio pubblico indagato. Però una cosa mi ha colpito: in rete mi aspettavo ovunque insulti su insulti, libero sfogo di improperi. Invece, nei commenti online che ho letto sulla stampa locale e sulla mia pagina Facebook, sorprendentemente, non c’è stato il fiume di qualunquismo e rabbia che mi aspettavo. E’ stato allora che ho pensato: beh forse la realtà – il “come” viene governata la città, per esempio – è più forte. La percezione che ho avuto è che più ti avvicini al contesto in cui il fatto avviene, meno il piacere contagioso della condanna astratta prende piede”.
E ora il sindaco Palazzi, oltre “a continuare a fare il sindaco”, vista la “celerità e serietà del lavoro della Procura”, vorrebbe dare un contributo “alla riflessione sul ricorso facile alla gogna come metodo di battaglia politica: non deve più passare l’idea che basti un esposto per buttare giù l’avversario o arriverà un momento in cui quasi nessuno vorrà più fare il sindaco o vorrà farlo soltanto chi non ha nulla da perdere, magari perché non ha un lavoro, oppure chi ha indole da avventuriero spregiudicato. Si rischia che sempre meno persone con passione politica si sentano disposte a lavorare 15/16 ore al giorno, quasi mai guadagnando una fortuna, ma rischiando magari di vedersi recapitare il titolo che può provocare la devastazione pubblica e privata, a prescindere dalle indagini. Il problema esiste, ed è prima tutto un problema di civiltà”.