Antonio Caridi, ex senatore della Repubblica, è stato rimesso in libertà. Ha trascorso un anno e otto mesi in prigione, dove si era costituito nel luglio del 2016 dopo che il giudice ne aveva ordinato l’arresto. Caridi era infatti caduto sotto la scure giudiziaria della carcerazione preventiva. L’accusa è quella di associazione mafiosa, all’interno dell’inchiesta Gotha, condotta dalla Procura di Reggio Calabria. Secondo i magistrati, infatti, esisterebbe una zona grigia – capeggiata dall’avvocato Paolo Romeo – all’interno della quale massoneria e mafia si fondono per controllare l’economia, la politica e la società calabresi. Ad avviso della pubblica accusa, Caridi sarebbe stato il braccio pubblico di questa formazione occulta, poiché avendo giovato dei voti pilotati dalla malavita, ricambiava gli ‘ndranghetisti con incarichi pubblici nelle municipalizzate o con politiche che favorivano le varie cosche partecipanti.
Nonostante i fatti addebitati a Caridi si riferiscano a un periodo molto risalente nel tempo, solo durante l’estate del 2016 venne chiesta la carcerazione preventiva su basi ora rivelatesi insussistenti. Caridi era allora senatore, e il suo arresto fu autorizzato dai suoi colleghi, spinti da PD e M5S. L’unico a rifiutarsi di votare a favore della misura cautelare fu un senatore dem, Luigi Manconi. Secondo Manconi, infatti, vi erano «palesi carenze e gravi debolezze delle motivazioni addotte a sostegno della richiesta di arresto». Lo stesso parlamentare si rese conto dell’evidente fumus persecutionis:«Se fossero state sussistenti le necessità cautelari per l’arresto del senatore Caridi, perché non sono state fatte valere quindici anni fa, quando – essendo stato informato di indagini nei suoi confronti per così gravi capi d’accusa – lo stesso Caridi avrebbe potuto inquinare le prove o sottrarsi alle indagini con la fuga? E allora perché il senatore Caridi dovrebbe inquinare oggi le prove che non ha inquinato negli ultimi quindici anni? E perché lo stesso Caridi dovrebbe sottrarsi al giudizio oggi, quando negli ultimi quindici anni è rimasto in Italia a svolgere la sua attività politica nonostante la minaccia di un procedimento penale per associazione a delinquere di stampo mafioso?».
È stato il tribunale del riesame di Reggio Calabria, dopo ben due pronunce di annullamento da parte della Corte di Cassazione, che ha annullato l’arresto di Caridi. La sentenza della Suprema Corte fornisce gli spunti per comprendere l’illegittimità del provvedimento. Gli elementi su cui si basava, infatti, non hanno trovato nessun riscontro. Seguendo il parere della Cassazione vi è un salto logico inammissibile fra la premessa e la conclusione dell’ordinanza di custodia cautelare. Vuoto che fu poi riempito dalle dichiarazioni di alcuni pentiti ritenuti, tra l’altro, poco credibili. Non solo, dunque, sono stati ritenuti eccessivamente volatili gli elementi che hanno fatto spiccare l’arresto, ma la corte d’ultima istanza ha anche puntato il dito contro l’accusa di associazione segreta, per la quale non sarebbero presenti sufficienti prove. Gli stessi contatti fra Romeo e Caridi non sono evincibili da alcuna intercettazione, telefonica o ambientale che sia. Un nesso, quello ipotizzato dalla magistratura, che non trova alcun riscontro sul piano probatorio. E ancora, sottolinea la cassazione, l’ordinanza di custodia cautelare del giudice delle indagini preliminari era stata quasi interamente copiata (3.165 righe su 3.200) dalla richiesta stilata dalla procura.
Ora Antonio Caridi è stato rimesso in libertà, ma nessuno gli restituirà i 20 mesi passati in carcere.