Continua la lotta di Bruno Contrada, 87 anni, ex dirigente della Mobile di Palermo e del Sisde, contro la giustizia ingiusta. Contrada è stato ingiustamente condannato a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, ma la Cassazione ha poi annullato questa decisione nel 2017. L’ex dirigente dei servizi, affiancato dal legale Stefano Giordano, cerca adesso di ottenere il risarcimento del danno per l’ingiusta detenzione e annuncia un ricorso alla Corte europea dei diritti umani per le perquisizioni e le intercettazioni illegittime che Contrada starebbe tuttora subendo.
La carriera di Contrada è stata per gran parte occupata dalla lotta alla mafia sul campo di Palermo, solo dopo diventò uomo dei servizi segreti. Adesso si trova in una nuova disavventura con la giustizia. Nel solco di una recente indagine, avocata dalla Procura generale di Palermo, sull’omicidio del poliziotto Antonino Agostino dell’agosto ’89, l’ex poliziotto è stato oggetto di misure cautelari piuttosto invasive da parte della procura, senza essere né indiziato né indagato. In particolare, venerdì scorso, l’abitazione di Contrada è stata oggetto di una perquisizione in seguito all’intercettazione di una conversazione telefonica tra l’ex numero due del Sisde e suo figlio. La perquisizione si è conclusa con il sequestro di un vecchio album di foto e di una lettera, mai spedita, al pm Nino Di Matteo, in cui Contrada voleva chiarire alcuni aspetti della sua deposizione sul caso Agostino.
Proprio per questi atti invasivi persistenti, il legale di Contrada vuole procedere presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. «Contrada non è indagato – spiega infatti l’avvocato Giordano – ma era intercettata una sua utenza telefonica, crediamo il cellulare, almeno dal gennaio 2018. Non è ammissibile, è una chiara violazione della privacy e dei diritti». Scopo del ricorso alla corte di Strasburgo è quello di vedere riconosciuta l’illegittimità della normativa del nostro Paese sul tema. Secondo Giordano, infatti, la legislazione vigente «consente alla pubblica autorità di sottoporre indiscriminatamente ad atti invasivi della vita personale e del domicilio, soggetti che non siano parte di un procedimento penale», che vengono così «privati delle garanzie che le norme pongono a tutela di chi sia formalmente accusato di un reato».
Per Contrada la persecuzione giudiziaria è iniziata nei primi anni ’90. Nel 1992 è arrivato l’arresto con l’accusa di concorso in associazione mafiosa. Condannato in primo grado, è stato assolto in appello, ma la Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado con rinvio, poi sfociato nella conferma della condanna a 10 anni, che nel 2007 è diventata definitiva. Contrada ha scontato tutta la pena, in parte in carcere e in parte ai domiciliari. Nel 2017 una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire il poliziotto dal momento che all’epoca dei fatti il reato contestato non era «chiaro né prevedibile», inducendo la Corte di Cassazione ad annullare la condanna.
Dunque per queste vicende, Contrada e il suo legale chiederanno il risarcimento per l’ingiusta detenzione subita, dal momento che la condanna è stata adesso annullata. «Agiremo a breve per ottenere la riparazione dell’errore giudiziario di cui è stato vittima – spiega il difensore – la cifra non è stata ancora quantificata, ma sarà di diversi milioni di euro».