Il quotidiano online Il Post ha ricostruito efficacemente la storia di gogna mediatico-giudiziaria subita da Ilaria Capua, una delle più famose ricercatrici italiane, accusata per lungo tempo pubblicamente di aver diffuso ceppi di influenza aviaria per guadagnare dalla vendita dei vaccini.
Martedì 5 luglio il tribunale di Verona ha prosciolto Ilaria Capua da una serie di accuse, tra cui quella di associazione a delinquere finalizzata alla diffusione di epidemie. Ma l’esito positivo della vicenda non cancella i danni causati da una campagna stampa infernale.
Capua è stata sotto indagine per quasi un decennio, ma la notizia dell’inchiesta emerse solo nel 2014, quando il giornalista Lirio Abbate ottenne parte delle carte dei magistrati e il settimanale l’Espresso dedicò al caso l’intera copertina, con un titolo durissimo: “Trafficanti di virus”. “Accordi tra scienziati e aziende per produrre vaccini e arricchirsi, ceppi di aviaria contrabbandati per posta rischiando di diffonderli. L’inchiesta segreta dei NAS e dei magistrati di Roma sul grande affare delle epidemie”, recitava la copertina dell’Espresso.
Non pago, il giornale tornò sul caso poche settimane dopo, con un articolo di Gianluca Di Feo intitolato “La cupola dei vaccini“. Nel 2015, quando la procura di Roma chiese il rinvio a giudizio per i 41 indagati, l’Espresso scrisse: “Esiste una cupola dei vaccini, che ha trasformato in business la lotta a virus pericolosi, garantendo l’arricchimento e la carriera di funzionari pubblici. È la conclusione della procura di Roma, che ha chiuso l’istruttoria durata otto anni, confermando l’inchiesta pubblicata da ‘l’Espresso’ nello scorso aprile”.
Tutte le accuse si sono rivelate infondate. L’inchiesta venne avviata dalla procura di Roma, ma fu poi “spezzettata” per ragioni di competenza territoriale e inviata a diverse procure, tra cui quella di Verona che si è espressa prosciogliendo tutti gli indagati perché “il fatto non sussiste”.