L’ex rettore Loris Borghi ucciso dalla gogna mediatica?

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È stata la gogna pubblica creata dai media a uccidere l’ex rettore dell’Università di Parma, Loris Borghi, indagato per abuso d’ufficio? I magistrati, che si muovevano nel solco dei collegamenti fra atenei, medici e case farmaceutiche, lo avevano accusato di aver favorito Massimo Allegri in un concorso pubblico per un posto nell’Università di Parma. Allegri è il pupillo di Guido Fanelli, la testa della presunta cricca ipotizzata dai magistrati, luminare della terapia del dolore. All’interno del quadro generale prospettato dalla procura, quindi, Borghi era appena lambito. Eppure tanto è bastato ai giornali per sbatterlo in prima pagina e per umiliarlo pubblicamente. È stato questo atteggiamento della stampa a condurlo alla morte? Se lo chiede anche il quotidiano il Foglio in un articolo di cui pubblichiamo uno stralcio.

“«Una vita umana si è spezzata, e non per cause accidentali o naturali – sono le parole rilasciate dall’attuale rettore dell’Università di Para, Paolo Andrei, in una nota pubblicata poche ore dopo la morte di Borghi – Tra le ragioni che hanno portato a questo gesto estremo c’è stato sicuramente anche il senso di abbandono che lo ha pervaso a seguito dell’indifferenza dei molti che, dopo le sue dimissioni dalla carica di rettore, lo hanno dimenticato e talvolta oltraggiato. Tutto ciò deve farci riflettere, deve fare riflettere ciascuno di noi, perché interpella la nostra coscienza individuale e collettiva».

Raggiunto dal Foglio, Andrei rifiuta formule di circostanza e muove un atto d’accusa all’intera comunità parmigiana, non solo accademica: «Lo scorso maggio Borghi aveva scelto di dimettersi dopo aver appreso dalla stampa di un’indagine a suo carico per abuso d’ufficio. Era una vicenda obiettivamente marginale, da mettere in conto per chiunque ricopra un incarico di responsabilità che ti porta ogni giorno ad apporre una firma su decine di fogli. Borghi non era accusato di aver rubato né ucciso, provavo a incoraggiarlo evidenziando la fumosità delle accuse, ma lui era letteralmente prostrato. Soffriva la pressione della stampa locale e un senso generale di abbandono. Gran parte della comunità accademica, alla quale aveva dedicato la sua intera esistenza, lo aveva già condannato. Salvo rare eccezioni, le persone avevano preso a manifestargli diffidenza e sospetto. È un atteggiamento che si manifesta sovente verso chi è destinatario di un avviso di garanzia. Spero che sia fonte di riflessione per ciascuno di noi.»”