Roberto Maroni, condannato «per una raccomandazione mai fatta»

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Roberto Maroni, 63 anni, ha un passato luminoso di militanza nella Lega Nord di Umberto Bossi, nel curriculum diversi incarichi governativi e una stagione da presidente della Regione Lombardia appena conclusasi. Proprio ieri è stato condannato a un anno di reclusione dal tribunale di Milano per turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. In sostanza, la procura milanese sostiene che l’ex presidente della Regione, proprio in questa veste, abbia esercitato delle pressioni illecite al fine di far conferire un incarico all’interno di una partecipata ad una persona da lui “raccomandata”. Il procedimento tuttavia solleva molti dubbi, sia sulla tenuta dell’impianto accusatorio, sia sul metro di giudizio usato dalla Corte per condannare Maroni.

Tali perplessità sono state sollevate dallo stesso imputato, prima in un tweet («condannato per una raccomandazione mai fatta»), poi in un’intervista al Corriere della Sera, in cui definisce la condanna «un’assurdità». Nell’intervista Maroni sottolinea anche la doppia pronuncia della Corte, che lo ha assolto per un reato e condannato per un altro. Maroni si dice «consapevole del fatto che difficilmente il Tribunale» gli avrebbe dato ragione in entrambi i casi «perché il pubblico ministero, nel frattempo, ha assunto un ruolo importante in procura e credo che gli equilibri interni abbiano avuto un loro peso». «Non dovrebbe succedere – continua Maroni – la giustizia dovrebbe basarsi esclusivamente sui fatti, ma ho la sensazione che anche questi aspetti siano entrati in gioco».

Al cronista che gli ricorda come il suo comportamento possa essere configurato come reato, Maroni spiega che «non c’è traccia di una mia telefonata o di un mio messaggio, ma vengo condannato in quanto capo della Regione, che dunque risulta responsabile di qualunque colpa». «Se questo è un reato – riflette l’ex presidente – allora dovremmo chiedere alle procure di verificare come hanno agito tutti i sindaci e tutti i pubblici amministratori. Tutti colpevoli? Tutti in galera?».

Fiducioso nel grado d’appello, Roberto Maroni evidenzia molte delle perplessità suscitate dalla sentenza del tribunale di Milano: «Da un lato vorrei capire dove starebbe la “libertà” che risulterebbe turbata, visto che nel pubblico non c’è libertà ma esistono procedure, e dall’altra dico che se le cose stanno così allora chiunque abbia intenzione di candidarsi a un incarico amministrativo farebbe bene a pensarci almeno due volte».  Il pensiero dell’ultimo ministro dell’Interno di Silvio Berlusconi corre ai giovani impegnati in politica: «Uno come me ha le spalle larghe ed è in grado di difendersi sotto tutti i punti di vista, ma a un giovane sindaco o assessore una vicenda come questa può rovinare non soltanto la carriera ma anche la vita». «La politica dovrebbe riflettere su questo – conclude amaramente Maroni – Ma a giudicare dalle modifiche al codice antimafia direi che si va in direzione opposta».