Tutti i dubbi sulla sentenza “Stato-mafia”

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È arrivata venerdì la sentenza dei giudici della Corte d’Assise di Palermo nell’ambito del processo di primo grado sulla presunta “trattativa Stato-mafia”. Sono stati condannati vari politici, alti funzionari dello stato e boss mafiosi. Fra gli altri, l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, già in carcere dal 2014, è stato condannato a 12 anni di carcere, e la stessa pena è stata decisa per l’ex comandante del ROS Mario Mori e l’ex colonnello Giuseppe De Donno. Il boss mafioso Leoluca Bagarella, in carcere dal 1995, è stato condannato ad altri 28 anni di carcere. L’ex super-testimone Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo condannato per associazione mafiosa, ha ricevuto una condanna a 8 anni. È stato invece assolto l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino. Ciancimino era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Mancino era accusato di falsa testimonianza. Tutti gli altri erano accusati di violenza a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.

Una sentenza che non convince molti osservatori, come Massimo Bordin, di cui riportiamo la riflessione pubblicata sul quotidiano Il Foglio:

«È stata una sentenza politica quella di ieri sulla “trattativa”. Da vari punti di vista. C’è un aspetto, diciamo così, tecnico e qui se ne era già parlato un paio di mesi fa, presentandolo come l’unico rischio che la difesa correva: rispetto alle quattro sentenze che hanno assolto Mario Mori su vicende relative alla trattativa, questa di ieri a Palermo è stata pronunciata da una corte d’assise, ovvero è stata l’unica con giuria popolare. Leoluca Orlando, commentando entusiasta la sentenza, ha parlato di verità storica che diviene verità giudiziaria, laddove per verità storica devono intendersi le intere mensole di libri, molti scritti da magistrati, che per una decina d’anni hanno consacrato le tesi dell’accusa prima del giudizio.

 La verità storica di Orlando si costruisce nelle procure, si ufficializza nelle pubblicazioni dei pm e dei loro addetti stampa e consente al pregiudizio di sostanziarsi in verità giudiziaria grazie a una giuria popolare, nel tripudio in aula del popolo delle agende rosse e della “scorta civica” del dottore Di Matteo. Fosse solo un problema giudiziario saremmo nel campo di un orrore ben noto. Enzo Tortora in primo grado fu condannato a dieci anni come camorrista. In questo caso è diverso. A Napoli si limitarono a brindare alcuni giornalisti, qui si è applaudito in aula. È iniziata la terza repubblica, quella dei cittadini, ha commentato Luigi Di Maio. Forse precorre i tempi, siamo ancora a Weimar, ma almeno in Germania, un magistrato che trovò il modo di assolvere Dimitrov pure ci fu, quando le cose erano già precipitate e la “Terza Repubblica” si stava già insediando. Ieri ci si è limitati a Mancino