Trent’anni dalla morte di Enzo Tortora, vittima della giustizia che caccia le streghe

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Oggi è il trentesimo anniversario della morte di Enzo Tortora.

La storia di Tortora la conosciamo tutti: venne coinvolto in uno scandalo giudiziario, arrestato all’alba come i peggiori criminali e infangato da tv e giornali. Dopo la galera, Tortora venne assolto con formula piena. Ma il fango l’aveva già colpito, il carcere l’aveva già afflitto.

«Dov’eravamo rimasti?» rimarrà la frase cult del suo ritorno sulle scene. E sembra di sentirlo ancora oggi, mentre l’Italia si trasforma in una repubblica fondata sulle manette. Mentre i magistrati si affannano per intentare processi contro chi lavora, chi produce, chi dirige. Mentre i giornalisti fanno di tutto pur di violare il segreto istruttorio e sbattere in prima pagina indagini che magari poi si riveleranno anche inutili. Mentre forze “antisistema” mettono a rischio l’ordine costituzionale e lo stato di diritto.


C’è un’altra coincidenza interessante, oggi. Nella prima lettura della liturgia odierna c’è un passo tratto dagli Atti degli Apostoli che racconta la reazione di Festo, procuratore della Giudea, all’arresto di Paolo di Tarso. Festo dice che «i Romani non usano consegnare una persona prima che l’accusato sia messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall’accusa». È un principio giuridico che esiste e resiste da più di duemila anni. E adesso rischia di essere spazzato via, insieme a tanti altri.

Dario Tasca